Il Restauro         

 

 

 

Per restauro viene intesa generalmente una qualsiasi attività svolta a prolungare la conservazione dei mezzi fisici ai quali è affidata la consistenza e la trasmissione artistica.
La pratica del restauro si forma nell'ambito di una storia molto complessa che riguarda i rapporti intercorrenti tra l'uomo e quei manufatti che acquisiscono ai suoi occhi un valore estetico. Non a caso i rapporti tra gli uomini e le loro opere del passato variano con i mutamenti di gusto e sensibilità, ciascun'epoca coltiva la propria concezione dalle vicende da cui è sorta e di conseguenza dalle tracce che esse hanno lasciato ai posteri.

Il concetto di restauro è estremamente collegato alla materialità dell'opera cioè alla sua consistenza materiale che determina fenomeni parziali o totali di parti fisicamente individuabili.

Pertanto, nell'antichità, non si attribuiva alle operazioni di restauro il significato di tutela del patrimonio culturale e storico, ma puramente un fine estetico: in breve, si mirava a restituire bellezza ad un'opera che nel tempo si era rovinata.
Fu solo nel '600 che si affermò l'esigenza di rispettare il più possibile lo stato originario dell'opera, nonostante i necessari restauri. Nel XVII secolo i restauri di dipinti aumentarono considerevolmente, per il fiorire di un vasto mercato dell'arte.
Nel Settecento il restauro divenne una disciplina autonoma, non più affidata a pittori e architetti, ma a specialisti che operavano al servizio di privati e gallerie pubbliche. Tra questi il più famoso fu certamente Pietro Edwards, direttore del restauro di tutte le pubbliche pitture di Venezia dal 1778; Edwards fu il primo ad imporre l'impiego di sostanze e materiali facilmente asportabili, cioè reversibili, nei restauri pittorici.
Alcuni studiosi e restauratori tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento hanno introdotto criteri nuovi, oggi considerati indispensabili per l'esecuzione di un restauro conservativo corretto. Il primo criterio cui attenersi è quello già ricordato della reversibilità delle procedure di restauro. In secondo luogo è necessario procedere in modo che qualsiasi integrazione, ridipintura e rifacimento sia chiaramente distinguibile dalle parti originali dell'opera. Oggi si pensa che il restauratore debba asportare dai manufatti artistici solamente le sostanze, i materiali e le parti aggiunte che non abbiano rilevanza storica, artistica e culturale.
Nel 1931 La carta di Atene sancisce l'esigenza, in realtà genericamente definita, del mantenimento delle testimonianze sedimentate nel tempo, con il divieto di "restituzioni integrali" e con l'obbligo di rispettare l'opera storica ed artistica del passato senza prescrivere lo stile di alcun'epoca. 
L'attività sicuramente più nota come esperto e teorico del restauro delle opere d'arte è sicuramente quella di Cesare Bandi, direttore dell'Istituto Centrale di Restauro dal 1939 al 1959.

La pubblicazione, nel 1963, della Teoria del restauro poi più volte ristampata, al punto da diventare il libro più diffuso tra quanti ne scrisse, e non sono pochi, segnò un evento cardine nel dibattito sui problemi della conservazione e del restauro delle opere d'arte e del patrimonio culturale in genere, al punto da farlo diventare riferimento indispensabile, peraltro codificato nei principi sanciti dalla Carta del Restauro del 1972, tuttora vigente come guida dell'azione di restauro. Il restauro delle pitture e dei manufatti artistici tende di conseguenza ad identificarsi sempre di più col puro intervento conservativo dei materiali originari costitutivi, che vanno ricercati e identificati eliminando qualsiasi sovrapposizione del tempo e l'azione dell'uomo vi abbiamo depositato, rifuggendo da rifacimenti o ritocchi o integrazioni e di conseguenza, mantenendo a vista le lacune, tutt'al più accordate per mezzo di abbassamenti di tono e campiture "a neutro" con il campo cromatico generale dell'opera. Secondo Brandi bisognerà procedere "ritrovando e rimettendo in evidenza il testo originale dell'opera, eliminando alterazioni e sovrapposizioni di ogni genere fino a consentire di quel testo una lettura chiara e storicamente esatta".
Brandi risolve il problema della reintegrazione pittorica mediante il sistema a tratteggio verticale ad acquerello che assicura una evidente riconoscibilità ad una visione più ravvicinata, alle parti lacunose o ricostruite (laddove gli elementi superstiti consentivano una reintegrazione non ipotetica o di fantasia) ricostruendo nel tempo la continuità del tessuto figurativo dell'immagine non più disturbata e impoverita da lacune. Non potendo ripercorrere punto per punto tutto l'itinerario e il pensiero brandiano e l'elaborazione della teoria del restauro cercherò di individuarne gli snodi più problematici.

L'opera d'arte come prodotto della attività umana impone una duplice valutazione:

da un lato essa è un atto che rimanda ad una certo tempo e luogo, quelli della sua materiale realizzazione, e si rivela alla coscienza situandosi in un luogo ed in uno spazio determinanti. E' quella che Brandi chiama istanza storica. Allo stesso tempo però assume una valenza specifica corrispondente al fatto basilare dell'artisticità per cui l'opera d'arte è opera d'arte...istanza estetica. Da qui deriva la prima definizione di restauro inteso come "il momento metodologico del riconoscimento dell'opera, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro. L'assioma famoso "…si restaura solo la materia dell'opera d'arte" implica l'indispensabile coinvolgimento della conoscenza scientifica e tecnica intorno ai materiali costitutivi dell'opera d'arte, al loro comportamento nel tempo e alla selezione e alla determinazione dei processi tecnici e materiali di restauro da utilizzare. E' inoltre fondamentale perché sancisce il principio che il restauro non può interferire minimamente sui significati dell'opera. Non sono dunque la preziosità e la raffinatezza della materia oppure la complessità e la perfezione di un processo esecutivo a costituire da soli il pregio e il significato di un prodotto determinato dal punto di vista artistico e culturale, bensì la qualificazione dipende dalla possibilità di lettura che offre l'interazione tra scelte materiali e tecniche.

Il secondo principio di restauro afferma : "Il restauro deve mirare al ristabilimento dell'unità potenziale dell'opera d'arte, purché ciò sia possibile senza commettere un falso artistico o un falso storico e senza cancellare ogni traccia del passaggio dell'opera d'arte nel tempo", presupponendo però parametri flessibili, capacità di analisi e adattamento alle situazioni.

Nonostante la pratica del restauro abbia raggiunto livelli così alti come si può appurare dallo studio di restauri rappresentativi come questo nel pieno rispetto dei quattro fondamentali principi del restauro (reversibilità, compatibilità, riconoscibilità, minimo intervento) con rammarico devo anche parlare di una realtà che non è poi così rosea e piena di morale come la si vuol dipingere ma è una realtà costituita ancora da personale non sempre qualificato che si lancia ugualmente in operazioni delicate in cui non è pratico o da una manovalanza che se ne frega sia dei principi, sia della carta del restauro, sia della teoria di Brandi….e quant'altro, ma continua a lavorare secondo una pratica antiquata di bottega non rispettando l'opera d'arte, l'ambiente né se stesso; la cosa più grave che fin quando questo deriva da un'ignoranza di fondo anche se condannabile la si può in un certo qual modo giustificare ma quando ciò deriva da un'incoscienza e un attaccamento a procedure e utilizzo di materiali ormai superati per motivi di tempo e soprattutto economici è davvero molto grave!

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